Sai, c’è un pellicano che è diventato un po’ l’attrazione diurna del ristorante: tutti i giorni, tra le quattro e le cinque di pomeriggio, questo pellicano arriva dal lato est del fiume, resta lì per un’oretta, e poi riparte e vola via verso ovest.

Tutti i giorni arriva alla stessa ora e ci delizia con il suo spettacolo abituale: si piazza su uno di quei pali di legno piantati vicino alla sponda, che una volta servivano come attracco delle barche (forse…non ne sono sicura); si pulisce un po’ le ali, ci guarda, starnazza, fa un po’ di girotondo sul palo e poi, quando vede che ha attirato l’attenzione di passanti e clienti del bar, ecco che scatta e si tuffa per prendere un pesce.
Poi torna a galla, risale sul palo e ci guarda come fosse un cabarettista che dopo la battuta aspetta l’applauso del pubblico (stai fresco ad aspettare che ti applaudisca io: hai solo preso un pesce, il che è nella tua natura, visto che sei un pellicano. Inizia a ballare la samba con un tacco 12, poi ne riparliamo!).

Lo spettacolino del pellicano è sempre lo stesso, tutti i giorni: si tuffa, prende qualche pesce, starnazza fino a quando qualcuno non gli lancia qualche pezzo di pane come quando il pubblico nell’arena lancia le rose al matador, e poi verso le cinque se ne va, contento di aver conquistato il cuore a nuovi ammiratori che presto pubblicheranno sui social network i video e le foto delle sue prodezze (e se mi tuffo io nel fiume me la fate una foto?).
La cosa poetica di tutto questo (secondo me è solo molto deprimente) sono quei due o tre minuti che il pellicano e Bob passano a guardarsi, in silenzio, senza percepire il mondo intorno, con l’intensità di chi è assorto in uno sguardo che vale più di mille parole.
Due duri che si guardano e, nell’intimità dei loro pensieri all’unisono, si capiscono. Dolce.
Un po’ come se Chuck Norris si guardasse allo specchio.

Lasciando quei due alla loro virile ed inquietante telepatia di coppia, quello che invece mi ha colpita di più tra gli habitué del locale è un signore che tutti i pomeriggi viene a prendersi un calice di vino rosso e resta seduto al tavolo, a contemplare il fiume, per circa un’oretta.

Sempre ben vestito, con il panciotto e la cravatta; porta sempre con sé un taccuino di pelle sgualcito e il giornale del giorno, anche se raramente l’ho visto leggere il giornale.
Di solito resta seduto, rivolto verso il fiume, a guardare le persone che passano o gli altri avventori del ristorante. Ogni tanto prende la stilografica dal taschino e si annota qualcosa sul taccuino.
Josh mi ha detto che è un giornalista o un importante scrittore che ha vinto molti premi rinomati. In realtà a sentire Josh qualsiasi cliente del locale è un personaggio importantissimo che ha vinto un sacco di premi. Non c’è da fare molto affidamento su quello che dice Josh.

Tuttavia questo signore sembra una persona davvero molto carismatica; le poche volte che l’ho servito io (di solito vuole servirlo Josh) è stato molto cortese, affabile. Sempre interessato a farmi qualche domanda su di me, sulle ragioni che mi hanno portata ad emigrare, sulle mie aspirazioni.
La cosa affascinante era lo sguardo interessato e penetrante con cui mi guardava mentre ascoltava le risposte: come se fosse stato realmente interessato a capire il mio punto di vista, come se avesse voluto leggere tutta la mia vita dalle poche cose che riuscivo a raccontargli con il mio orrendo accento straniero.
Ogniqualvolta ho provato a fargli io delle domande, con un sorriso molto garbato faceva in modo di rispondere in maniera vaga e di girare la domanda su di me: «Oh, di lavoro io scrivo…è un lavoro molto barboso, niente di che…parliamo invece del lavoro che vuoi cercare quando finirai il tuo diploma…».

Chissà chi è questo signore, cosa fa realmente di professione. Non lo saprò mai, ma forse è meglio che resti un mistero: potrò immaginarmelo al suo tavolino, ad annotarsi le vicissitudini umane che ogni giorno gli passano davanti e che lui fa in modo di osservare con attenta dedizione.

Forse scriverà dei romanzi su quella coppietta di innamorati che si fa fare delle foto mentre si abbraccia affettuosamente, e che cammina mano nella mano sul lungo sentiero che costeggia il fiume, metafora del ben più lungo e tortuoso sentiero della vita.
Magari scriverà un racconto su quella giovane famigliola con quattro bellissimi figli biondi e ben vestiti che scherzano e giocano spensierati, dandosi buffetti e rincorrendosi per i prati che fanno da contorno al fiume, mentre i loro genitori discutono a bassa voce, lanciando ogni tanto qualche gesto scocciato e repentino, con lo sguardo amaro di chi è lacerato da un amore ormai finito.
Spero che un giorno lui scriva di quelle tante coppie di anziani che si trascinano, a volte con fatica, a prendere un po’ di aria fresca sul ciglio di quel fiume, a fianco della giovane coppietta abbracciata, quasi a farle da specchio, per prometterle che se resterà stretta in quell’abbraccio per tutto il resto del loro cammino, allora sarà un amore che merita di essere vissuto e ricordato.

Chissà, forse tra i suoi racconti il mio misterioso scrittore avrà modo di inserire in qualche pagina anche questa sbadata cameriera, dall’accento strano e dalla promettente carriera, che pur di realizzare i propri sogni è stata disposta ad abbandonare la sua terra e le sue tradizioni. La sua forse non è una storia di quelle serie, una fuga da guerre civili e persecuzioni, fatta di coraggio ed eroismo. Tutt’altro.
Eppure anche questa cameriera un po’ impacciata, a suo modo, ha dovuto farsi coraggio, ha vissuto cocenti delusioni nella sua terra natia e si è sentita costretta ad affrontare la paura e l’imbarazzo (quanto imbarazzo!) di mettersi in gioco dall’altra parte del mondo e ripartire da zero, sola, allo sbaraglio.

Una cameriera che oggi ha deciso di vivere un’altra svolta e di smettere di fare la cameriera: d’ora in poi farà solo la commessa.
Poi, un giorno, passetto per passetto, riuscirà a coronare i suoi sogni e a tornare su quel fiume per goderselo, finalmente, sorseggiando un calice di vino rosso o passeggiando a fianco di un bel fusto che la ama.

Ora, però, è meglio che io scriva un messaggio alla mia capa, per avvertirla del fatto che sabato prossimo non potrò andare a lavorare e che, per il momento, penso di non riuscire più a lavorare nel suo ristorante.
Addio Wonder Woman. Ti ho invidiata tanto, ma adesso è arrivata l’ora che io prosegua per la mia strada.


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