Caro dromediario,
immagina di essere in treno.
Hai pregato, in tutte le lingue che conosci, diverse eterogenee divinità dell’Occidente e dell’Oriente, per fare in modo di sederti in uno di quei posticini singoli al piano superiore della carrozza: uno di quelli che ti permettono di non avere nessuno di fianco o davanti, potendo così allungare le gambe e maneggiare le centomila pesantissime cose che ti porti nello zaino, senza che qualche vicino di posto invadente possa irrompere nella tua preziosissima zona di comfort.
Sai di dover affrontare un’ora di viaggio in treno, dopo una lunga e faticosa giornata di lavoro, passata a sorridere a quelle stupide clienti e ai tuoi colleghi, e costretta in un’uniforme che non ti rappresenta e che non ti piace.
Ciononostante godi del posticino singolo tanto agognato che, a suo modo, ti estranea dal mondo, ti fa pensare che puoi finalmente rilassarti, sciogliere le tensioni che hai nel collo, goderti un lungo viaggio che ti culla per un’ora; e sorridi all’idea che, tra tutti i pendolari ammassati su quel treno sovraffollato, sei tu, proprio tu, la fortunata che è riuscita ad accaparrarsi il posto migliore.
Tutta la strategia che poco prima hai messo in atto sul binario, per prevedere e calcolare fino al centimetro il punto esatto in cui le porte del treno si sarebbero aperte, si è dimostrata utile ed efficace.
Poi, ti arriva la stangata: cinque minuti dopo che ti sei seduta dove volevi ed hai iniziato a gustarti il tuo posto, un tizio sale sul treno e puzza.
Puzza così intensamente ed acremente che, anche se ti passa di fianco solo per un istante e va a sedersi a qualche metro di distanza da te, non riesci più a pensare ad altro, non riesci più a muovere alcun muscolo, nel disperato tentativo di respirare il meno possibile e di muovere l’aria intorno a te il meno possibile.
Pensi a tutti i profumi che hai spruzzato sulle clienti durante la giornata, pensi a campi fioriti, a distese di profumate margherite; pensi, pensi.
Ma tutto è inutile.
La puzza è tale che ti entra nel naso, te la senti nella gola e tra i capelli. Disgustosa, persistente, acidula puzza di uomo che ha sudato per ore in quelle odiose magliette di tessuto sintetico.
Mannaggia alle aziende che fabbricano le uniformi con materiali sintetici e le fanno indossare ad uomini ciccioni e pelosi. Mannaggia a loro.
Cosa gli passa per la testa, quando producono quelle divise? Ma non lo sanno che gli uomini sudano
Nessuno di quei cervelloni la cui mente partorisce quegli assurdi strumenti di tortura olfattiva è mai salito su un treno, o su un autobus, in piena ora di punta?
A cosa stavano pensando, in quel momento? Alle margherite?
Furbi come i loro compagni di genialate: i tizi che decidono i cartelli da mettere sul treno.
Ci sono cartelli che ti dicono di lasciare il posto a vecchi e donne incinte. Ci sono anche cartelli che ti dicono di stare in silenzio, perché si tratta di “carrozze silenziose”: ti viene quindi richiesto di abbassare le suonerie del telefono e il volume della musica nelle cuffie, e di parlare a bassa voce.
Ci sono cartelli per qualsiasi cosa che possa inficiare il pendolarismo di chi ti sta intorno, e non ti dicono che non devi puzzare?
Ma cos’hanno nella testa?
È come se un museo allestisse una mostra, studiasse la posizione dei quadri con grande maestria e calibrasse l’aria condizionata per dosare la giusta quantità di calore e umidità, e poi se ne fregasse di curare l’illuminazione.
Così io oggi, per godermi un Van Gogh, ho corso per arrivare in tempo all’apertura; ho studiato attentamente dove piazzarmi per avere l’assoluta precedenza davanti alle porte d’ingresso, usando il mio sopracciglio assertivo e imparando ad usare la telepatia per ipnotizzare mentalmente tutti gli altri visitatori a lasciar passare prima me; sono praticamente volata in posizione per godermi lo spettacolo, e poi? Il quadro è al buio. Un buio che ti asfissia, letteralmente.
Ecco, in poche parole, la mia giornata di oggi.
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